
Ci vado con Davide, per una serata maschiale uomale. Il locale è piccolino. Una decina di coperti fuori, un’altra decina dentro. C’è una buonissima energia, luci soffuse, arredamento minimale, rumori attutiti. Arriviamo, entriamo e sembra quasi che non ci sia nessuno.
È un family restaurant sul serio. È gestito da due persone e basta. Marito e moglie. Moglie in cucina, marito in sala.
Lui, gentile e con un attitude da vero maestro Miyagi, ti fa accomodare e ti spiega il menù per filo e per segno. Regala qualche perla filosofica, consiglia abbinamenti e condivisioni, maître e cameriere di piacevolissima compagnia.
Ho già provato la cucina coreana, un paio di volte a Brooklyn e un paio di volte a Londra, lo sai, sono uno schifoso esterofilo che se la mena tantisssssimo. Mi era piaciuto un sacco, quindi mi siedo al Korean Family Restaurant affamato e carico di aspettative.
Come antipasto, rigorosamente da dividere tra noi come ci viene suggerito, prendiamo:
Ravioli, ripieni di verdure e macinato di soia.
Kiki, dei bastoncini di riso, tipo gnocchi lunghi, con delle verdure che sguazzano in una salsa piccantina.
Tutto fatto a mano, fresco, casalingo, buono come se non ci fosse un domani.
La pasta dei ravioli, per dire, era tirata, spianata, passata al mattarello con così tanto ammore e padronanza da essere quasi trasparente. Leggeri e saporiti, ad anni luce dai ravioli/mappazza che vengono scaldati al microonde e serviti nelle vasche degli all you can eat.
I Kiki sono morbidosi e non spugnettosi, ottimi accompagnati con la salsa piccante, che rimane sul tavolo per condirci anche il riso delle pietanze successive.
Nel complesso due antipasti molto gradevoli, non pesanti, che lasciano il giusto spazio per la main course: un bulgoghi con carne di maiale e uno di vitello.
Il bulgoghi è un piatto tipico coreano, un piatto composito, con la carne, degli spaghetti di soia, un mix di verdure e due porzioni di riso compattate a triangolino.
Le verdure, fresche di ortolano, e la carne, ben cotta e saporita, si sposano bene con gli spaghetti di soia semplici e con il riso pucciato nella salsa dei kiki.
Un piatto abbondante, dai sapori decisi. La carne, secondo me saltata a fuoco vivissimo in una wok e aggiunta in seguito all’intingolo, ha un sapore ricco e carnoso. Un gusto pieno, nonostante la porzionatura a tocchettini, tipica della cucina asiatica, per agevolare il lavoro delle bacchette.
Non sono un grande fan degli spaghetti di soia, di solito li preferisco di riso. Sono felice di avere nel piatto degli spaghetti di soia non viscidi. Significa che sono stati cotti e trattati nel modo giusto.
Il riso a forma di triangolo è adorabile. Punto.
Lo so che dare dell’adorabile al cibo è piuttosto bizzarro, ma il riso compattato triangolato apre talmente tante parentesi grafico/culturali, legate all’immaginario, che adorabile è l’unico modo per descriverlo.
In più è anche buono. Pucciarlo nella salsa dei Kiki è la morta sua.
Abbiamo bevuto tre bottiglie d’acqua e abbiamo speso un po’, sui 30 euro a testa, caffè compreso.
Sono disposto a spendere per mangiare bene. È forse l’unico vizio che mi è rimasto.
Gestire un locale in due fa allungare un po’ i tempi, oppure siamo noi che ci siamo assuefatti alla velocità. Ma la qualità del cibo e la gentilezza del maître valgono di sicuro l’attesa.
Korean Family Restaurant
Via Raffaello Sanzio, 16
20149 MILANO
arirang.it